Prendere il treno. Sempre il solito treno che proprio non
riesce ad arrivare in orario. Partire da una Monza un po’ spenta (ma è la
stagione) e finire in una Milano immersa nella nebbia. Una coltre bianca,
talmente fitta e spessa da annullare qualsiasi istinto vitale. Una parte di me
vorrebbe poter lanciare coriandoli esplosivi tutt’intorno, dare un po’ di
colore a questo grigiume denso, stanco, claustrofobico. Vorrebbe poter sparare
proiettili colorati sulle mura deturpate di quella piccola stazione
dimenticata. Vorrebbe obbligare i pendolari a indossare abiti un po’ più vivaci
e vivi, vietando il nero e il grigio: a quello già ci pensano il cielo e l’asfalto.
Si farebbe portavoce del Giallo, del Rosso, del Blu, del Verde e di ogni loro
sfumatura, della loro salvaguardia. Ma ormai è solo una piccola vocina flebile,
rassegnata alle strade piatte e al tempo da suicidio che imperversa tra Gennaio
e Aprile. Scendo allora dal treno, fuggo in tutta fretta da quel binario
deserto senza guardarmi troppo in giro, tentando di pensare ad altro. A Lisbona
e ai suoi piccoli tram gialli, ad esempio. Ci pensa un cartello pubblicitario a
riportarmi bruscamente al momento presente. Non per ciò che vi è scritto sopra,
assolutamente. Qualche genio (dopo aver fatto ri-piastrellare un vialetto in un
parco giochi tetro e desolato come pochi (scorciatoia per raggiungere quel
blocco di cemento che è la mia università) per collegarlo con la strada) ha ben
pensato di chiuderne l’accesso piazzandoci davanti una decina di utilissimi cartelli
pubblicitari. In effetti mancavano proprio, erano gli unici tre metri vuoti.
Sì, stonavano proprio. Una ventina di centimetri scarsa divide quella fila di
nuovi arrivati dal muro del cantiere IULM li accanto. Tutto sommato ci si
passa. Slalom mattutino, che gioia.
Finalmente arrivo in università. Rivedere due facce
familiari mi fa dimenticare per un istante dove mi trovo. Chiara e Veronica.
Saliamo le scale, si vogliono esercitare in aula d’informatica. Due ore dopo
stiamo ridendo, nulla di fatto. A parte il tentare di colorare i muri e le
scrivanie con parole calde, allegre, accoglienti. È l’ultimo anno di università,
tra Luglio e Novembre ci laureeremo tutti. “Dopo?”, la fatidica domanda che
aleggia sui volti di molti, sul mio. In dubbio se seguire la ragione, quel che
ci si aspetta che tu faccia, quello che dovresti fare se davvero ti piacesse
quello che hai studiato sin’ora, o se mandare tutto e tutti a quel paese perché
sei finita a fare qualcosa che ti fa venire l’orticaria e l’acidità di stomaco,
perché adesso arrivi te, con il tuo sogno che non è mai cambiato, in cui prima
non riponevi alcuna speranza, di cui ora senti più che mai il bisogno. Ovviamente
so già cosa farò. Perché c’è bisogno di colore. Di colori. Di camminare “a caso”,
di parlare a ruota libera. Di riempire i polmoni d’aria diversa e identica. Di alberi,
di acqua, di maree..
Elefanti Tristi
P.s.“ In chi si trova davanti alla costa, dalla miriade di verità
non scritte che affollavano l’anima dei mortali emergeva la consapevolezza di
cosa significava stare sul margine della terra, lo sguardo rivolto all’insondabile
ignoto che era il mare. La sabbia e le pietre che cedevano sotto i piedi
mormoravano incertezza, sommesse promesse di erosione e dissoluzione di ogni
cosa un tempo solida.
Nel mondo si
raccoglievano tutti i simboli manifesti delle caratteristiche dell’animo umano, e nel dialogo che ne
seguiva si trovavano tutti i significati , tutti i colori e tutti i sapori, che
si legavano innumerevoli davanti agli occhi. Lasciando al testimone le
decisione di scegliere l’ammissione o la negazione.
Udinaas sedeva su un
tronco d’albero semisepolto nella sabbia; l’acqua gli lambiva i mocassini. Non era
cieco, e non poteva negare. Vedeva il mare per quello che era, la memoria
dissolta del passato riflessa nel presente, e terreno fertile per il futuro: il
volto stesso del tempo. Vedeva le maree nel loro sussurro immutabile, il flusso
simile a sangue proveniente dal freddo cuore della luna, un pulsare del tempo
misurato e misurabile. Le maree, non si poteva sperare di trattenerle.”
(Maree di Mezzanotte – traduzione di Chiara Arnone e Lucia
Panelli)
scusa??' Gennaio??? Aprile???? non so proprio di cosa stai parlando...certe parole che dici non esistono..no, no...
RispondiEliminaE' estate!!!! :D E' sempre Estate...è solo la parte fredda e tetra dell'Estate...O.o
Morbidi.
<3 hihihihihihihi
RispondiElimina"la parte fredda e tetra dell'estate" :)
Elefanti Tristi
XD...lascia stare...stavo ripensando all'esame di maturità e mi è tornato il nervoso.....soprattutto per italiano......ci scriverò un post, sicuro!
RispondiEliminaMorbidi.
ahahahhahahah L'HAI FATTO DONNA!
EliminaElefanti Tristi
ahahahahah già!
EliminaMorbidi.
la anzone è bellissima.
RispondiEliminala nebbia meno.
La canzone serve a dissipare la nebbia..almeno per qualche istante :)
EliminaElefanti Tristi